Dottoressa aggredita si dimette: "Rischi elevati per le donne"

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21 ago 2024

"Dobbiamo essere tutelate, almeno avere una guardia giurata accanto", ha detto la donna 32enne

Di: Adnkronos

Ennesimo caso di aggressione ai medici. Ancora una volta è una donna a essere colpita, in questo caso una dottoressa in servizio di guardia medica a Maruggio, in provincia di Taranto. Nei giorni scorsi, nella notte tra il 17 e il 18 agosto, i genitori di un bambino, accompagnato per un problema all'occhio e non soddisfatti dell'indicazione di consultare uno specialista, hanno pesantemente insultato e strattonato violentemente la dottoressa che si è dovuta barricare nella stanza, riportando comunque un trauma alla spalla. Dopo l'episodio la donna, 32 anni, che ha avuto anche un attacco di panico in seguito all'aggressione, ha deciso di dimettersi.

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"Mi dimetto - ha detto ai giornalisti che l'hanno intervistata - a nome di tutte le donne. Di tutte le donne medico che lavorano alle tre di notte e non hanno la possibilità di avere il compagno vicino. Lo faccio per loro, per tutte noi. Dobbiamo essere tutelate, almeno avere una guardia giurata accanto. Il nostro è un mestiere nobile, a disposizione degli altri. Ma non possiamo rischiare in questo modo".

La dimissione di un medico che non si sente più sicuro durante la sua attività, "e non vuole, per questo, più lavorare nel Servizio sanitario nazionale, è una sconfitta: è la certificazione che il sistema non funziona. E che i medici vanno via per tutelarsi. In questo modo prima o poi andremo via tutti". E' l'amara riflessione fatta dal presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, con l'Adnkronos Salute.

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"Purtroppo è la conclusione amara di questa storia - continua Anelli- e mi pare che, su questo tema, le parole siano state fin troppe finora. Serve agire. E' chiaro che c'è una contraddizione tra tutte le indagini demoscopiche che mostrano fiducia nei confronti dei medici e l'apprezzamento del rapporto medico-paziente e poi le aggressioni che, però, sono il frutto prevalentemente della disfunzione del sistema. Il sistema non riesce a dare quelle risposte in maniera immediata, come i cittadini vorrebbero, principalmente perché mancano i professionisti. Questo è il dramma. O il governo prende atto che questa è un'emergenza sanitaria oppure il sistema fallisce".

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Sono tanti gli episodi di violenza registrati in questo agosto che amareggiano Anelli: da Chiari, in provincia di Brescia, a Castellamare di Stabia, da Massa Carrara a Crotone, da Monfalcone (Gorizia) a Bari, Lecce, Foggia sino ad arrivare all’episodio denunciato ieri nel tarantino. "Evitiamo che anche questa collega – afferma Anelli – cui va tutta la nostra vicinanza, lasci il posto di lavoro. Chiediamo al presidente Emiliano di garantirle sicurezza, in caso affidandole una sede diversa. Le sue dimissioni, ribadisco, sarebbero una sconfitta per l’intero sistema e questo non possiamo permetterlo. Perdere i nostri medici, i nostri professionisti significa condannare a una lenta agonia il nostro Servizio sanitario nazionale".

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"Il Governo ha già messo in atto alcuni provvedimenti – riconosce Anelli – ma bisogna fare di più. Non basta la repressione per arginare un fenomeno che ha molte cause, prima tra tutte la scarsità del personale sanitario, dovuta a decenni di definanziamenti. Non basta la procedibilità d’ufficio, se gli episodi non vengono portati alla luce per celare disorganizzazioni e malfunzionamenti. Non bastano le attestazioni di solidarietà e di fiducia nei medici, se al primo intoppo diventano i capri espiatori di quello che non va. Servono risposte. Servono risorse per arginare la fuga del personale sanitario. Servono più medici, in ospedale e sul territorio, meglio pagati e più valorizzati. In questa situazione anche il rischio clinico aumenta, così come la possibilità di errore. Servono reali misure di sicurezza per restituire serenità ai professionisti".

"Le numerose aggressioni di questi giorni – conclude Anelli – sono il sintomo inequivocabile di un malessere e di una difficoltà che rischiano di superare il punto di non ritorno. Un disagio che si può curare solo con i fatti, con investimenti adeguati e con politiche che restituiscano sicurezza e serenità ai curanti e ai curati".

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