Omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: dopo più di vent'anni la verità è ancora lontana

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22-02-2015

A quasi ventuno anni dall'uccisione della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, suo operatore, le indagini si riaprono e si accendono nuovamente le tante polemiche che da sempre accompagnano la vicenda. I due reporter furono uccisi a Mogadiscio in Somalia mentre indagavano su oscuri traffici d'armi e di rifiuti tossici illegali, durante la guerra civile somala.

Di: Redazione Sardegna Live

Svolta nel caso Alpi-Hrovatin. A quasi ventuno anni dall’uccisione della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, suo operatore, le indagini si riaprono e si accendono nuovamente le tante polemiche che da sempre accompagnano la vicenda. I due reporter furono uccisi a Mogadiscio in Somalia mentre indagavano su oscuri traffici d’armi e di rifiuti tossici illegali, durante la guerra civile somala. Dopo la puntata di “Chi l’ha visto?” mandata in onda il 18 febbraio, il caso è tornato al centro del dibattito pubblico e la Procura di Roma ha ripreso le indagini.

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In quella puntata è stata trasmessa un’intervista a Ahmed Ali Rage, detto il Jelle, supertestimone nel processo per l’uccisione della Alpi e di Hrovatin. Divenuto irreperibile da anni, il Jelle ha confessato ai microfoni della trasmissione di aver mentito accusando del duplice omicidio un innocente, Hashi Omar Hassan, l’unico colpevole riconosciuto che era arrivato a Roma per testimoniare sulle presunte violenze dei militari italiani ai danni della popolazione somala. Ma accusato, processato e condannato definitivamente in cassazione nel 2002 a 26 anni di carcere, Hassan ancora oggi sconta la sua pena nel carcere di Padova.

Jelle ha dichiarato: “Gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e in cambio di una mia testimonianza mi promisero una somma di denaro e mi dissero che avrei potuto lasciare la Somalia”. Attualmente il Jelle è accusato di calunnia, e il 20 febbraio a Roma si è svolta la prima udienza del processo, ma a porte chiuse.

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Le indagini e la mancanza di trasparenza

D'altronde, questa faccenda è sempre stata poco chiara. Vent’anni di polemiche, accuse, depistaggi, dubbi e lacune. Facciamo un passo indietro. Nel dicembre 1992 l’ONU decise di intervenire in Somalia con una missione internazionale di pace che sarebbe dovuta servire a portare la pace in quel territorio devastato dalla guerra civile. Anche l’esercito italiano partecipò alla missione “umanitaria”.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin , che in quegli anni si trovavano in Somalia come inviati del Tg3, probabilmente scoprirono un traffico internazionale di veleni, di rifiuti tossici e radioattivi che venivano prodotti nei Paesi industrializzati e poi, in cambio di tangenti e armi scambiate con i gruppi politici locali, portati nei Paesi poveri dell’Africa.

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Ma durante le indagini la Commissione non ha approfondito la possibilità che l’omicidio dei due giornalisti possa essere stato commesso per le informazioni che la Alpi aveva raccolto sul traffico d’armi e scorie tossiche, fatti che avrebbero coinvolto anche personalità della politica italiana. Inizialmente si era pensato ad un tentativo di rapina o ad un sequestro fallito, ma anche ad una vendetta da parte di un gruppo armato somalo per i trattamenti che l’esercito italiano aveva riservato alla popolazione locale, infliggendo violenze e torture.

Sono rimaste in sospeso molte incognite di quegli anni: per esempio, nel novembre 1993, sempre in Somalia, era stato ucciso il sottufficiale del SISMI Vincenzo Li Causi, informatore della stessa Alpi sul traffico illecito di rifiuti nel Paese africano.

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Gli oggetti personali mai restituiti alla famiglia

La serie di inspiegabili “stranezze” è ormai lunga. Anche i bagagli dei due inviati, giunti a Ciampino con i cadaveri, sono stati consegnati alle famiglie senza sigilli. Inoltre, dei cinque block notes appartenuti a Ilaria solo due sono stati consegnati ai genitori.

Perchè? Quali informazioni contenevano quegli appunti? Ma la lista non finisce qui: ai genitori di Ilaria Alpi non sono stati consegnati nemmeno l’elenco degli effetti personali della giornalista, il certificato di morte redatto dalla compagnia mortuaria privata americana (dove i cadaveri vennero portati dopo l’uccisi

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