L'evasione a Nuoro e l'arresto in Corsica, poi il pentimento. La vicenda del boss Raduano

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28-03-2024

Un anno fa si era calato con delle lenzuola dalle mura di cinta del carcere di Badu 'e Carros. Poi l'arresto e la decisione di collaborare con la giustizia: l'autoaccusa di Raduano e le rivelazioni nell'interrogatorio

Di: Giammaria Lavena

24 febbraio 2023: evade dal carcere di Badu ‘e Carros, a Nuoro, facendo perdere le sue tracce. Quasi un anno dopo, il 2 febbraio 2024, viene catturato in Corsica, a Bastia, dai carabinieri del Ros in collaborazione con la gendarmeria francese. Trascorrono poche settimane e, fra il 20 e il 21 marzo, nel frattempo trasferito al carcere di Preturo, a L’Aquila, davanti ai magistrati della Dda di Bari decide di collaborare con la giustizia ricostruendo il suo passato criminale in un lungo interrogatorio.

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Sono le tre tappe più recenti della carriera malavitosa di Marco Raduano, detto “Pallone”, 40enne boss del clan dei Montanari, esponenti della mafia garganica. Si era calato con le lenzuola dal braccio di massima sicurezza nuorese, dando il via a una caccia all’uomo durata quasi un anno, e riaprendo un argomento di discussione sulla carenza degli agenti di polizia penitenziaria nelle carceri sarde. Proprio durante la sua detenzione a Nuoro era stato condannato in via definitiva per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico aggravata dal metodo mafioso, e avrebbe finito di scontare tutte le sue condanne dopo circa 23 anni, nel 2046.

Quando i militari del Ros lo hanno rintracciato a Bastia era in procinto di recarsi in un ristorante di lusso, accompagnato da una donna, disarmato e munito di documenti falsi. Sono bastate poche settimane al malavitoso per convincersi a collaborare fornendo informazioni che potrebbero sconquassare la mafia garganica. “Mi pento per dare un futuro a mio figlio, per cambiare vita ed anche perché sono stato vittima di diversi tentativi di omicidio”, ha affermato Raduano davanti alla Dda di Bari. Una parentesi, quella attuale, che interrompe momentaneamente una lunga scia di sangue, ma che potrebbe aprirne delle altre. Ma cosa c’è dietro la storia di un uomo arrivato all’apice di una folta associazione criminale e divenuto uno dei criminali più ricercati in Europa, prima della sua cattura in Corsica? Per comprendere meglio il passato dell’oggi pentito boss possiamo ripercorrere alcune delle tappe decisive nella nascita della guerra di mafia a Vieste.

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UN DECENNIO DI SANGUE

Mettendosi a nudo nell’interrogatorio avvenuto in carcere a L’Aquila, Raduano ha ricostruito la fitta rete di alleanze e rivalità all’interno dei contrasti nella guerra di Vieste. “Ero il capo dell’articolazione viestana da me comandata contrapposta a Vieste al gruppo Perna-lannoli. Il mio gruppo aveva alleanze con il clan Lombardi-Scirpoli-La Torre, ex Romito, a loro volta alleati con il clan Moretti. Invece il gruppo Perna-lannoli era alleato con il clan Li Bergolis-Miucci, a loro volta alleati con i Sinesi-Francavilla”. Questo il quadro generale nel quale si delinea il conflitto, che ha nei seguenti episodi alcune delle tappe più sanguinose: il 26 gennaio 2015 i killer di Raduano uccidono Angelo Notarangelo, detto "Cintaridd"; il 30 aprile 2015 viene ucciso Marino Solitro, ritenuto contiguo al clan Notarangelo-Perna; il 3 settembre 2016 Gianpiero Vescera, cognato di Raduano, viene assassinato; il 16 gennaio 2017 è il turno di Vincenzo Vescera, vicino a “Pallone”, crivellato di colpi; il 27 gennaio 2017 Onofrio Notarangelo viene ucciso da una scarica di mitra; il 31 marzo Marco Raduano sfugge ad un agguato fallito nei suoi confronti; il 24 maggio Pasquale Notarangelo, figlio di Onofrio, scompare probabilmente per lupara bianca; il 27 luglio un piccolo affiliato dei Notarangelo, Omar Trotta, viene assassinato su mandato di Marco Raduano; il 6 aprile 2018 Gianbattista Notarangelo viene ucciso a colpi d’arma da fuoco; il 25 aprile 2018 tocca ad Antonio Fabbiano, piccolo affiliato legato ai Raduano; il 19 giugno 2018 Gianmarco Pecorelli viene ucciso, era vicino ai Perna.

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Il 7 agosto 2018 Marco Raduano viene arrestato nell'operazione “Neve di Marzo” per spaccio di sostanze stupefacenti, contrabbando d'armi e associazione per delinquere. Il 26 aprile 2019 viene ucciso Girolamo Perna, 29 anni, boss egemone capo dell'omonimo clan. Dopo un periodo di relativa calma, il 24 febbraio 2023 l’evasione di Raduano dal carcere di Badu 'e Carros. Il 31 ottobre dello stesso anno, all'interno del processo in rito abbreviato "Omnia Nostra", viene inflitto a “Pallone” il primo ergastolo per l'omicidio di Omar Trotta e quello di Giuseppe Silvestri, in aggiunta al tentato omicidio di Giovanni Caterino. Lo scorso 1 febbraio la cattura da un gruppo di operatori dell'Unità Crimor del Ros Carabinieri, lo stesso reparto che aveva catturato Matteo Messina Denaro un anno prima. Oltre a Raduano, poche ore prima i carabinieri avevano individuato ed arrestato a Malaga, in Spagna, anche il suo concittadino e fiancheggiatore Gianluigi Troiano, latitante dal 2021. Il 9 febbraio l'ex latitante viene estradato e portato nella casa circondariale dell'Aquila, stesso carcere in cui fu condotto Messina Denaro dopo il suo arresto, per essere sottoposto al regime carcerario duro come previsto dall'articolo 41-bis. Sette giorni fa l’inizio della collaborazione.

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Istantanea dell'evasione di Raduano dal carcere di Badu 'e Carros

L’AUTOACCUSA

Come detto, sul boss gravano condanne che dovrebbe finire di scontare nel 2046. Per alleggerire la sua posizione Raduano ha deciso quindi di collaborare, dicendosi “dispiaciuto e pentito” per quello che ha fatto. “Ho commesso direttamente 5 o 6 omicidi ma sono coinvolto in più di 10, la maggior parte susseguenti al mio tentato omicidio”, ha rivelato lo scorso 20 marzo. Il verbale d’interrogatorio pieno di omissis è stato depositato a disposizione della difesa (non è quindi più coperto da segreto istruttorio) in 2 processi in corso in Corte d’assise a Foggia per altrettanti omicidi collegati alla scia di sangue che ha travolto Vieste dal 2015. Raduano verrà sentito come teste nei processi relativi all’omicidio di Antonio Fabbiano, di cui è imputato Giovanni Iannoli, e a quello di Mariano Solitro (entrambi su in elenco fra i fatti di Vieste), per il quale sono in attesa di giudizio ancora Iannoli e il pentito Danilo Pietro Della Malva, già esponente di spicco del clan Raduano. Sull’omicidio di Fabbiano e il tentato omicidio di Michele Notarangelo, l’ex boss ha detto che “questo delitto di cui sono esecutori Giovanni Iannoli e Gianmarco Pecorelli è scaturito in seguito al mio tentato omicidio del 21 marzo 2018”. “Fabbiano – ha spiegato – apparteneva al mio gruppo. Sulla sua morte ho avuto informazioni dirette sia da Iannoli sia da Notarangelo, che mi confidò d’aver riconosciuto gli autori senza ombra di dubbio, in un incontro cui erano presenti anche Della Malva e Orazio Coda”.

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In quel frangente Notarangelo gli disse di “aver riconosciuto il tono di voce di Iannoli che gli gridò contro: ‘Infamone, vieni qua’”. “Notarangelo – ha proseguito Raduano - conosceva molto bene Pecorelli col quale era amico di vecchia data. Con Iannoli cercai di fare la pace tramite un mio parente, gli mandai una lettera in cui proponevo una pace in quanto loro avevano ucciso Fabbiano e io avevo ucciso Pecorelli. L’unica condizione che posi fu che mi avrebbero dovuto consegnare Girolamo Perna per ucciderlo”. Lo stesso Perna, fuggito a due agguati a settembre 2016 e marzo 2017, fu assassinato davanti casa il 26 aprile 2019 da killer ancor ignoti. Sull’omicidio Solitro: “Io e … (nome coperto da omissis) cercammo di uccidere Solitro già nel 2008 quando facevo ancora parte del clan Notarangelo perché non si approvvigionava di droga a Vieste. Successivamente furono Omar Trotta e … a chiedermi l’assenso per uccidere Solitro che aveva denunciato Trotta e lo aveva fatto arrestare. Ne parlai anche con Della Malva, gli sconsigliai di farlo ma non mi opposi. Dopo il delitto ne parlai con Iannoli, che mi confermò d’essere stato lui l’autore, dicendomi che Trotta e … gli diedero 10mila euro per uccidere Solitro. Gli sparò alla schiena, poi scappò con Della Malva, buttando il fucile in un canale”. Queste alcune delle testimonianze di Raduano davanti alla Dda di Bari.

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