Menhir e tombe come misuratori del tempo. L’annuncio durante il sesto convegno di Archeoastronomia in Sardegna

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04 dic 2017

La scoperta, che se venisse confermata sarebbe straordinaria, riguarda gli studi sul sito di Pranu Mutteddu a Goni.

Di: Antonio Caria

Gli antichi sardi costruivano i complessi monumentali non solo in funzione degli allineamenti solari, ma anche in riferimento al moto della luna, molto più complesso e articolato. Ciò è emerso dall’intervento di Michele Forteleoni della Sat, nel corso del sesto Convegno internazionale di archeo-astronomia in Sardegna, “La Misura del Tempo”. Assieme alla studiosa Simonetta Castia, di Aristeo, Forteleoni ha esposto un’accurata relazione sulle ultime ricerche inerenti il complesso archeologico, cultuale-funerario, di Pranu Mutteddu di Goni da un punto di vista archeo-astronomico.

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Grazie alla planimetria Cad, è stato possibile eseguire le misurazioni sull’area archeologica che ingloba circa sessanta menhir e sei tombe a tumulo.I l risultato, frutto di un grande lavoro sinergico tra il Circolo culturale Aristeo e la Società Astronomica Turritana, è stato realizzato in collaborazione con altre importanti realtà accademiche.

«Abbiamo scoperto numerosi allineamenti solstiziali – ha spiegato Forteleoni – le tombe assumono il ruolo di marcatori astronomici, marcando la levata e il tramonto del sole, fungendo da evidenziatori del tempo e delle stagioni». Di grande rilievo appare l’allineamento principale di 18 menhir posto a Nord della tomba del Capo, sulla direttrice equinoziale Est-Ovest:

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«Partendo da questo monumento abbiamo tracciato due linee di congiunzione sul primo e sull’ultimo menhir, identificando con ottima precisione le due stazioni lunari nord. Cosa che, se venisse confermata, sarebbe straordinaria e assegnerebbe una funzione non solo sacra, bensì anche calendariale, ai menhir».

«L’approfondimento delle indagini ha permesso di confermare la presenza di un sistema di reciprocità segnica e simbolica, nonché di importanti relazioni spaziali, tra gli allineamenti, i gruppi di menhir, le tombe a circolo e le strutture di carattere cultuale insistenti nel complesso, lungo un percorso di graduale sviluppo diacronico, entro l’intero arco del Neolitico recente».

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Questo l’intervento di Castia che ha rimarcato come lo studio è stato parzialmente limitato dalla mancata edizione integrale degli scavi e dalla consapevolezza che in antico l’area doveva essere più ricca e articolata.

Altre sorprese hanno riguardato le unità di misura utilizzate dagli antichi. Marzia Monaco (Università La Sapienza), ha illustrato un’analisi geometrica del Tempio B di Largo Argentina a Roma, identificato come Tempio della Fortuna del giorno presente. Le analisi hanno rivelato che in una prima fase di costruzione, un secolo prima di Cristo circa, l’unità è molto vicina al piede tolemaico di 0,308 metri, dovuta, probabilmente, alla presenza di maestranze greche. La seconda fase al cubito romano.

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Inoltre, grazie alla collaborazione di Aristeo e SAT con La Sapienza e con la cura di Flavio Carnevale, è stato possibile realizzare uno studio analogo sulle tecniche costruttive del villaggio di S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili. Carnevale ha rilevato l’utilizzo di differenti unità di misura sulle varie costruzioni: per le capanne il riferimento è 0,331 metri, mentre per la zona megaron 0,333, analogo al piede di Egina o di Pergamo. La capanna adiacente ai forni presenta l’utilizzo del piede attico: 0,305.

Lorenzo Mocci e Gianfranco Ledda hanno argomentato l’ipotesi di utilizzo dei forni di fusione per questo insediamento, il quale ha restituito circa cinquecento chili di metalli. Lavinia Foddai ha introdotto uno studio sul complesso di Paule S’Ittiri, inserito nella zona sud-est della Valle dei Nuraghi. Il sito, ancora poco indagato, presenta un recinto (temenos) che ingloba quattro strutture apparentemente cultuali, di uguale schema planimetrico e medesimo orientamento. Questo potrà essere un futuro caso-studio nell’ambito delle prossime ricerche della studiosa Lavinia Foddai, insieme ad Aristeo e alla SAT.

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L’archeologo Luca Doro ha presentato, invece, i nuovi studi su Sa Mandra Manna di Tula, mettendo in risalto le analogie con i siti di Moonte Baranta di Olmedo e di Punta de S’Arroccu di Chiaramonti. Un elemento di grande interesse è dato dalla relazione e sovrapposizione delle varie strutture murarie, tra cui è individuabile un protonuraghe adiacente alla muraglia.

Un altro sito archeologico, oggetto del convegno, è stato quello di Tanca Manna, situato all’interno di Nuoro. Presentato dall’archeologo Demis Murgia, il quale ha illustrato la particolarità nella presenza di capanne non circolari, ma rettilinee e absidali. Non sono mancati anche momenti dedicati all’acheo-astronomia di alcuni monumenti romani adrianei, come a Villa di Tivoli, il Panteon e Castel Sant’Angelo, dove si manifestano, a cadenza periodica,manifestazioni luminose considerare in passato come ierofanie, legate al sacro.

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Spazio anche alla Divina Commedia Dantesca, con un excursus sui passaggi legati alla descrizione della volta celeste, tra cui l’ipotetica descrizione della Croce del Sud, curato da Gian Nicola Cabizza.

L’incontro è stato chiuso con un’illustrazione di vari studi archeo-astronomici sul sito di Bric Pinarella, in provincia di Savona, ricchissimo di testimonianze archeologiche, da parte di Mario Codebò (Centro ricerche astronomia linguistica). In questo sito sono stati scoperti due monumenti che presenterebbero tutte le caratteristiche di misuratori del tempo legati al moto solare.

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