Silvia, insegnante di francese in carcere: “I detenuti? Persone sensibili fuori dal comune”

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23 gen 2019

La storia della docente 40enne di Sestu, Silvia Spada, mamma di un bimbo di due anni e mezzo, che ha seguito 5 classi all’interno della Casa circondariale “Ettore Scalas”

Di: Alessandro Congia

Il carcere si sa è un luogo di tristezza, dove chi sta dentro, (detenuto o agente che sia), ha tanto da imparare reciprocamente. Poi ci sono i medici, gli psicologi, gli educatori e infine, anche gli insegnanti. A quest’ultimi, è dato il compito di seguire chi sconta la pena con un ruolo ‘speciale’, una consapevolezza che l’insegnamento negli istituti penitenziari richiede competenze straordinarie. Dai detenuti però i professori ricevono una lezione di vita non indifferente: quella di oggi, raccontata a Sardegna Live, è la storia di una mamma, di un’insegnante che ha lavorato a stretto contatto con chi vive dietro le sbarre. Buona lettura.

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(A.C.)

«Era lo scorso aprile quando improvvisamente mi arrivò una convocazione da parte del Cpia – (Centro provinciale per l'istruzione degli adulti n.d.r.), per l'insegnamento di lingua Francese. Fin qui niente di strano, essendo io supplente mi arrivano regolarmente delle convocazioni da varie scuole. Ma questa era una convocazione "particolare" , si trattava di insegnare Francese al carcere di Uta».

Silvia Spada, 40 anni compiuti, davanti agli occhi del cronista appare emozionata, poi durante il racconto non manca qualche attimo e lo sguardo con gli occhi lucidi. Nella casa circondariale “Ettore Scalas” di Uta racconta di aver trovato un direttore, Marco Porcu, gli agenti della Penitenziaria e tanti altri dipendenti che lavorano a stretto contatto con i detenuti davvero preparati, professionalmente motivati, sebbene si sa, a Uta i problemi non mancano.

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Poi ci sono loro, i “reclusi”, i carcerati, persone che hanno sbagliato ma che lasciano qualcosa dentro al cuore: «C'erano un paio di persone prima di me in graduatoria – racconta Silvia - ma tutte avevano rifiutato. Così ricevo la chiamata, avrei dovuto prendere servizio due giorni dopo. Insegnare in carcere era sempre stato un mio desiderio, perchè ho considerato quell'ambiente come dimenticato, emarginato, mentre al suo interno ci sono comunque degli esseri umani, che hanno sbagliato si, ma comunque con dei sentimenti e con una possibilità di riscatto. Così in preda all'entusiasmo e anche un pò di ansia e adrenalina, accettai. Quella mattina ero molto tesa, l'impatto con il mondo carcerario è stato "forte", mi sono trovata di fronte una realtà molto fredda, fatta di sbarre e cemento. Entrata in classe, mi sono incredibilmente trovata subito a mio agio. I miei alunni

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(5 classi, con 10 detenuti in ognuna di esse, n.d.r.) si sono mostrati molto entusiasti e devo dire che seguivano costantemente le mie lezioni.. anche quelli più "pigri" a scuola notavo con piacere che riuscivano a seguirmi. Ogni tanto mi parlavano anche delle loro vite all'interno della struttura carceraria, dei loro sentimenti e ho notato tantissima sensibilità in alcuni di loro. Con alcuni di essi, in particolare uno, si è instaurata una bella amicizia, infatti alla fine della mia supplenza con la persona in questione ci siamo scritti per un periodo. Data la mia esperienza assolutamente positiva avevo deciso di voler fare volontariato, per cui mi sono rivolta prima alla Direzione e poi anche alla Caritas, alla quale ho fatto un'ottima impressione. Ho addirittura partecipato a un convegno della Caritas, in cui si promuovevano tantissimo i rapporti umani all'interno del penitenziario. Passava il tempo ma non ottenevo risposta. Allora ho contattato io stessa la Direzione e mi è stato detto che non ero stata considerata idonea a fare volontariato da loro. Senza altre spiegazioni. Ma come? Proprio io che ho subito avuto un rapporto empatico con i miei alunni "particolari", che a loro volta mi aspettavano entusiasti (perchè avevo parlato a loro, a tutte le classi dove avevo insegnato) della mia idea di proseguire con il volontariato. Nonostante i miei impegni lavorativi e di mamma. Ma come, si lamentano che vista anche l'ubicazione dell'istituto penitenziario molto isolata e quindi non facilmente raggiungibile, ci sia carenza di volontari e mi rifiutano così? Ancora oggi non ho spiegazioni a riguardo. Fatto sta che per me è stata un'esperienza meravigliosa, dove tra i detenuti ho riscontrato un' enorme umanità e sensibilità, sicuramente fuori dal comune».

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