Silvia, insegnante di francese in carcere: “I detenuti? Persone sensibili fuori dal comune”
La storia della docente 40enne di Sestu, Silvia Spada, mamma di un bimbo di due anni e mezzo, che ha seguito 5 classi all’interno della Casa circondariale “Ettore Scalas”
Di: Alessandro Congia
Il carcere si sa è un luogo di tristezza, dove chi sta dentro, (detenuto o agente che sia), ha tanto da imparare reciprocamente. Poi ci sono i medici, gli psicologi, gli educatori e infine, anche gli insegnanti. A quest’ultimi, è dato il compito di seguire chi sconta la pena con un ruolo ‘speciale’, una consapevolezza che l’insegnamento negli istituti penitenziari richiede competenze straordinarie. Dai detenuti però i professori ricevono una lezione di vita non indifferente: quella di oggi, raccontata a Sardegna Live, è la storia di una mamma, di un’insegnante che ha lavorato a stretto contatto con chi vive dietro le sbarre. Buona lettura.
«Era lo scorso aprile quando improvvisamente mi arrivò una convocazione da parte del Cpia – (Centro provinciale per l'istruzione degli adulti n.d.r.), per l'insegnamento di lingua Francese. Fin qui niente di strano, essendo io supplente mi arrivano regolarmente delle convocazioni da varie scuole. Ma questa era una convocazione "particolare" , si trattava di insegnare Francese al carcere di Uta».
Silvia Spada, 40 anni compiuti, davanti agli occhi del cronista appare emozionata, poi durante il racconto non manca qualche attimo e lo sguardo con gli occhi lucidi. Nella casa circondariale “Ettore Scalas” di Uta racconta di aver trovato un direttore, Marco Porcu, gli agenti della Penitenziaria e tanti altri dipendenti che lavorano a stretto contatto con i detenuti davvero preparati, professionalmente motivati, sebbene si sa, a Uta i problemi non mancano.
Poi ci sono loro, i “reclusi”, i carcerati, persone che hanno sbagliato ma che lasciano qualcosa dentro al cuore: «C'erano un paio di persone prima di me in graduatoria – racconta Silvia - ma tutte avevano rifiutato. Così ricevo la chiamata, avrei dovuto prendere servizio due giorni dopo. Insegnare in carcere era sempre stato un mio desiderio, perchè ho considerato quell'ambiente come dimenticato, emarginato, mentre al suo interno ci sono comunque degli esseri umani, che hanno sbagliato si, ma comunque con dei sentimenti e con una possibilità di riscatto. Così in preda all'entusiasmo e anche un pò di ansia e adrenalina, accettai. Quella mattina ero molto tesa, l'impatto con il mondo carcerario è stato "forte", mi sono trovata di fronte una realtà molto fredda, fatta di sbarre e cemento. Entrata in classe, mi sono incredibilmente trovata subito a mio agio. I miei alunni