Antonio Arèvalo e il suo amore per l’Italia: “Qui mi sento a casa”

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18-03-2019

Il poeta cilena ospite del “Terre di Confine Film Festival”: “A volte mi vedo nei panni della gente che oggi arriva nei gommoni”

Di: Antonio Caria

“Da profugo sono diventato scrittore, sono diventato un operatore culturale e questo è un esempio di come un profugo, se gli dai la possibilità, può diventare qualcuno e può contribuire a dare un valore aggiunto al luogo dove sta”.

Sono queste le parole pronunciate dal poeta cileno Antonio Arèvalo dopo la proiezione nel weekend del documentario “Santiago, Italia” di Nanni Moretti, andato in scena al “Terre di Confine Film Festival”.

Un film in cui numerosi testimoni raccontano attimi drammatici, quelli della presa di potere da parte di Pinochet e la morte di Salvador Allende, la dittatura e la fuga nell’ambasciata italiana.

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Tra questi testimoni c’è proprio lo stessoArèvalo che, come ha raccontato al giornalista Roberto Cossu – nel ’73 a soli quattordici anni era divenuto la mascotte della Brigata di pittura muraria, con la quale usciva di notte per pitturare le strade. Militante della gioventù comunista, andava a lanciare volantini di protesta. Venne scoperto e si rifugiò all’ambasciata italiana per poi vedere la sua vita catapultata dall’altra parte dell’oceano.

“Vivere all’interno dell’ambasciata è stata un’esperienza fortissima – ha affermato lo scrittore -. Arrivato in Italia però non volevo far sapere che ero profugo. Mi vergognavo di dirlo. Oggi ne vado fiero. Sono cresciuto in Italia leggendo tutto quello che potevo, parlando per citazioni perché dovevo impormi”.

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“A volte mi vedo nei panni della gente che oggi arriva nei gommoni – queste ancora le sue parole -. Io ho vissuto un’Italia accogliente, era un’epoca meravigliosa. In confronto a ciò che succede ora la mia storia è nulla. Mi sento un privilegiato. Ma ho preso il meglio che ho avuto dall’Italia e ho cercato di restituirlo, perché mi sento responsabile del luogo che mi accoglie, sia che mi trovi a Roma, Milano o Venezia”.

Arèvalo ha anche presentato il suo libro “Le Terre di nessuno”. Un libro che sintetizza, attraverso una serie di poesie scritte tra il 1980 e il 2016, l’esperienza umana e artistica di questo straordinario autore, ormai riconosciuto come uno tra i più attivi sostenitori e promotori della creatività latinoamericana in Europa.

“Per me è molto bello tornare in Sardegna, è un onore, perché il mio primo produttore è stato Ignazio Delogu, un sardo eccellente che è stato anche traduttore di Pablo Neruda – ha concluso Arèvalo -. È un doppio momento letterario e cinematografico di grande emozione, in cui un’ultima volta ancora mi si fa sentire a casa”.

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