“Sa mexina de s’ogu” in Sardegna: Tzia Rosa, un’anziana guaritrice, ci spiega come si esegue questo rito senza tempo

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09 gen 2022

Con un sorriso tenerissimo ci accompagna nella cucina di casa sua dove versa dell’acqua in un bicchiere di vetro, e comincia così, il nostro viaggio nel fascino della Sardegna antica

Di: Sabrina Cau - Foto simbolo

Un apprezzamento o un qualunque gesto di lode bastava per “ghettai s’ogu”, quindi colpire con il malocchio, il rimedio è ancora nelle mani di molte donne sarde che custodiscono gelosamente il rito per rimuoverlo.

In ogni paese della Sardegna sono ancora molte le donne che utilizzano e tramandano la pratica di “sa mexina de s’ogu liau”. Una curiosa usanza che utilizza diversi elementi come l’acqua, l’olio, il grano, il sale, le monete e le preghiere a seconda del paese in cui viene praticata.

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In tempi, anche non lontani, per “ghettai s’ogu” bastava l’ammirazione e l’invidia, anche se involontaria. É proprio dalla potenza che, in Sardegna si attribuiva agli occhi, che deriva il malocchio ovvero la conseguenza di un forte desiderio creato da un semplice sguardo. Credenze antiche legate alla quotidianità dei sardi del passato che, nel tempo, sono state offuscate da un sottile velo di razionalità. Certo, “sottile”, perchè tutti noi conosciamo qualcuno che ancora si affida a queste pratiche di cultura medica popolare sarda. Ancora oggi, in alcune realtà non è raro vedere persone che “toccano” in segno di affetto, il destinatario del complimento o della lode per scongiurare il malocchio e confermare la sincerità dell’apprezzamento fatto.

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Quando nasce un bambino, per esempio, non è permesso guardarlo con ammirazione, ma se non si resiste e “l’occhio” si posa sul piccolino, è necessario prenderlo immediatamente in braccio o toccargli i piedini per allontanare così da lui ogni cattiva sorte.

I segni di malessere per gli sventurati colpiti da “s’ogu malu” sono riconoscibilissimi perché niente avrebbero a che fare con i classici malori. Il mal di testa, la febbre alta e la spossatezza sono accompagnati da un senso di oppressione, un malessere psicofisio e un’inspiegabile tristezza.

Ma come si esegue la pratica de “Sa mexina de s’ogu”?

Noi abbiamo incontrato Tzia Rosa una signora di 85 anni di un paese del sud Sardegna che ancora pratica il rito. Ogni più piccola ruga sul suo viso è di una bellezza immane, la prima cosa che ci dice è: “Sa mexina de s’ogu esti sa manu de Deusu”: la medicina dell’occhio è la mano di Dio. Ci assicura che funziona davvero, non dobbiamo avere dubbi!

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Ci racconta, forse ingigantendole un po’, le storie di tutte quelle persone che rivolgendosi a lei sarebbero guarite da forti mal di testa e altri malesseri. Le chiediamo come si svolge la procedura e lei, con un sorriso tenerissimo, risponde che farà una prova dimostrativa. Ci accompagna nella cucina di casa sua e versa dell’acqua in un bicchiere di vetro. Con le mani asciutte e provate dal trascorrere del tempo afferra tre chicchi di grano (trigu) e, uno alla volta, li getta nel bicchiere d’acqua recitando delle preghiere con una voce appena percettibile. (Le preghiere sono quelle tradizionali come il Padre Nostro o l’Ave Mari, ma lei ne conosce altre create appositamente per il rito). L’intera procedura continua con gesti ritmici e cantilenati che vengono ripetuti continuamente. Alla fine Tzia Rosa ci spiega che quando il chicco di grano si immerge nell’acqua non c’è “pigara de ogu” e si tratta solo di una semplice indisposizione momentanea della persona interessata. Se, al contrario, si forma una bolla sul grano e resta a galla allora è certo che lo sfortunato è “pigau de ogu”. È seria e soddisfatta quando ci comunica che il rito non ha evidenziato nessun “ogu malu”. Questo è il rito che lei utilizza, ma ammette che ne esistono tanti altri usati nei vari paesi della Sardegna che “funzionanta su propriu”(funzionano comunque).

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Poi, elenca una serie di regole ferree affinché questo rito funzioni. Innanzitutto la medicina deve trasmettersi tra donne, dalla più grande alla più piccola, mai al contrario perché non funzionerebbe; deve essere offerta gratuitamente; non deve essere fatta alla stessa persona per più di tre volte al giorno e non prima del tramonto del sole; inoltre affinché funzioni l’acqua deve essere somministrata al “paziente” con dei segni della croce sulla fronte e sulle tempie, poi è necessario bere un sorso d’acqua del bicchiere e quella che rimane va immediatamente gettata via.

Scettici o no questo è un rituale affascinante che merita tutto il nostro rispetto. Ci lascia con la consapevolezza di aver assaporato un pezzo importante di Sardegna antica e salutiamo Tzia Rosa certi di aver conosciuto una perla rara della nostra Isola.

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