Leggenda sarda de Sa Stria: l'uccello del malaugurio portatore di disgrazie e malattie

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14-04-2022

Il mito risale all'epoca dell'Impero Romano, e nei secoli ha assunto sempre più credibilità fra le comunità isolane. Si narra che fosse la causa della morte di molti neonati: per annullarne i poteri c'era solo un modo...

Di: Giammaria Lavena

Fin dai tempi più remoti la Sardegna arricchisce la sua storia di miti e leggende, consegnando un’immagine profondamente misteriosa ma altrettanto affascinante. Tutto, nella mitologia isolana, prende forme fantastiche, dando vita a quella commistione fra reale e immaginario tipica dei “contos de foghile” che, nella voce dei più anziani, chiamano a raccolta chiunque abbia piacere di scoprire mondi inesplorati. Scaramanzia e ritualità entrano così a far parte della vita quotidiana, condizionano usi e costumi e “distorcono” la visione del mondo e di ciò che ci circonda. Tutto, se inquadrato all’interno del microcosmo isolano, può assumere valenze e simbolismi molteplici.

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ANTICA CREDENZA. Questo contesto socio-culturale favorisce il fiorire di leggende e racconti immaginari, un tesoro custodito nei secoli e in parte preservato e giunto sino ai giorni nostri. C’è una leggenda in Sardegna che pare risalga all’epoca dell’Impero Romano, quella de Sa Stria. Viene indicato dalla tradizione come l’uccello del malaugurio, che si identifica nella civetta o, più frequentemente, nel barbagianni, e che con la sua comparsa annuncia disgrazia imminente. Pare che questo animale notturno fosse capace di fiutare l’odore dei bambini appena nati ed andare a cacciarli. Una volta trovati avrebbe risucchiato loro il sangue lasciandoli esanimi. Questo rappresentava probabilmente, in principio, un tentativo di spiegazione delle improvvise morti dei nascituri, assumendo man mano sempre maggior credito e radicandosi nelle antiche comunità.

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I POTERI DE SA STRIA. A questo volatile vengono attribuiti poteri malefici: se dovesse sorvolare la testa di una qualsiasi persona, infatti, potrebbe trasmettere a essa una grave malattia. È possibile riconoscere gli effetti della cosiddetta “striatura” (sa striadura) negli occhi e nel viso del malcapitato, che presenta il pallore tipico dell’itterizia. Per diagnosticare la malattia veniva utilizzato un metodo del tutto inusuale: si verificava che l’altezza della persona corrispondesse alla misura dell’estensione delle sue braccia. Tale misurazione avveniva con del filo da imbastire bianco, e in caso di squilibrio si procedeva a molteplici riti di guarigione, differenti a seconda della comunità in cui venivano effettuati.

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ANTIDOTI. Un metodo particolare per rendere innocua Sa Stria era quello di dar fuoco alle piume del barbagianni. Ridotte in cenere, venivano miscelate a ridotte quantità d’acqua o di caffè e venivano somministrate al malato come antidoto. In alcune zone della Sardegna l’operazione veniva compiuta nella fase terminale del ciclo lunare e insieme alle penne si brucia anche il filo utilizzato per la misurazione. Con il fumo venutosi a creare si segnava la croce sulla fronte del malato mentre si recitavano i brebus (formule magiche), e infine si somministrava, anche in questo caso, la bevanda miscelata all’infermo.

DUE MONDI. Tali usanze e credenze sono andate viepiù perdendosi. Ma ancora oggi nell’entroterra isolano è possibile conoscere e avere esperienza diretta con chi certe pratiche le porta ancora con sé, non soltanto nella memoria, facendone tutt’oggi uso e mettendo le proprie abilità a disposizione dei richiedenti. Sono testimonianza di un modo di vivere sempre più lontano dalla modernità, ma che per secoli è sopravvissuto a stravolgimenti e progresso, fino ad entrare a far parte dello straordinario corpus di miti e leggende della tradizione sarda.

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