Attivista sardo condannato per minacce per un post contro Salvini

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13 mag 2022

Oggi è arrivata la sentenza, dopo due ore di camera di consiglio. Aresu assolto da diffamazione e istigazione a delinquere

Di: Redazione Sardegna Live

Si è chiuso oggi il processo contro l'attivista sardo Mauro Aresu, 37 anni, a seguito di una denuncia presentata da Matteo Salvini per un post su Facebook contro di lui.

Aresu è stato condannato a 500 euro di multa e una provvisionale di 1.500 euro per le minacce, ma è stato assolto dall'accusa di istigazione a delinquere (per non aver commesso il fatto) e da quella di diffamazione (per l'esercizio di un diritto di critica politica). Questa la sentenza pronunciata dalla giudice del Tribunale di Cagliari, Cristina Ornano, dopo due ore di camera di consiglio.

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Nel post incriminato si evocava piazzale Loreto a Milano pochi giorni prima di una visita a Cagliari nel 2017 del leader della Lega per partecipare al congresso regionale del Carroccio. "Non va bene", ha commentato l'imputato, difeso dall'avvocata Marcella Cabras che aveva chiesto l'assoluzione completa da tutte le contestazioni per non aver commesso il fatto o, in subordine, per l'esercizio di un diritto di critica politica.

A chiedere la condanna ad un anno per tutte e tre le imputazioni era stato il pm Andrea Massidda. "Attenderò con curiosità le motivazioni del dispositivo - ha detto Claudia Eccher, avvocata di parte civile per Salvini che nell'arringa aveva quantificato il danno in 100 mila euro - posso dire che non sono assolutamente soddisfatta". Nel dibattimento, durato vari mesi, era stata riaperta l'istruttoria perchè la giudice Ornano aveva chiesto alla Polizia postale di chiarire in maniera chiara e inequivocabile che a pubblicare il post incriminato fosse stato proprio Aresu.

Tra novanta giorni ci sarà il deposito delle motivazioni, ma sta di fatto che la giudice ha ritenuto sussistere solo il reato di minacce (il riferimento a Piazzale Loreto, luogo dove era stato appeso a testa in giù Mussolini dopo l'esecuzione da parte dei partigiani), mentre ha ritenuto che non ci fosse diffamazione né l'istigazione a delinquere, reati indubbiamente più pesanti contestati dalla Procura.

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