Influenza aviaria: nessun allarme per gli ultimi casi umani, ma la sorveglianza rimane cruciale

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09 lug 2024

Intervista al dottor Fabio Scarpa dell’Università di Sassari: "L’obiettivo del nostro studio è quello di verificare se i recenti casi di influenza aviaria nell’uomo sono casi sporadici o rappresentano qualcosa di più preoccupante”

Di: Redazione Sardegna Live

Dall’inizio del 2024 ci sono stati sette casi nel mondo in cui il virus dell’Influenza Aviaria del sottotipo H5N1 ha infettato ospiti umani. Si tratta di uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Sassari, in collaborazione con l’Università Campus Bio-Medico di Roma pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Infectious Disease.

La scoperta. Secondo quanto emerso dallo studio in questione, ad oggi l’uomo rappresenta per il virus dell’Influenza Aviaria H5N1 solo un ospite incidentale; infatti, le analisi suggeriscono che gli uccelli restano ancora l’ospite di elezione.

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Ne abbiamo parlato con il Dottor Fabio Scarpa, genetista del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Sassari.

Perché fare uno studio di questo tipo? A cosa mira lo studio?

“Lo studio mira a cercare la prova di un eventuale salto di specie. Questi virus si diffondono solitamente tra gli animali, ma possono anche infettare gli esseri umani. Le infezioni umane si acquisiscono principalmente tramite contatto diretto con animali infetti o ambienti contaminati. A seconda dell'ospite originale, i virus dell'influenza A si classificano in aviaria, suina o altre influenze animali. Le infezioni umane da influenza aviaria possono causare malattie da lievi a gravi e possono essere fatali.

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Quando un virus effettua un salto di specie, acquisisce la capacità di infettare un nuovo ospite. Questa capacità, come tutte le altre, è codificata a livello genetico, quindi, un cambiamento di questo tipo quando si verifica lascia un’impronta nel genoma molto marcata che ne consente l’individuazione. Nel nostro studio abbiamo messo a confronto 1184 genomi presenti in banca dati isolati tra gennaio del 2016 e maggio del 2024 per cercare un’impronta di questo tipo, senza trovarla. Infatti, abbiamo osservato l’assenza di un differenziamento così marcato da poter giustificare un salto di specie. In pratica i ceppi isolati nell’uomo, negli uccelli e in altri animali sono molto simili tra loro suggerendo che non si sia verificato un differenziamento significativo a livello genomico.”

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Il dottor Scarpa precisa che queste considerazioni sono valide allo stato attuale delle cose e che “i virus mutano di continuo e la situazione può cambiare. Per questo motivo è fondamentale un monitoraggio continuo e ininterrotto, volto a cercare all’interno del genoma tracce di cambiamenti importanti che possono portare conseguenze più gravi.”

Un lavoro di grande rilevanza. Questi studi - sottolinea il Dottor Scarpa - sono di estrema importanza perché forniscono informazioni cruciali per poter valutare il reale rischio legato ad un agente eziologico.

Un lavoro a più mani. Il gruppo di ricerca è composto dai ricercatori dell’Università di Sassari, il Dottor Fabio Scarpa, la Dott.ssa Alessandra Ciccozzi e la Prof.ssa Daria Sanna del Dipartimento di Scienze Biomediche e il Prof. Marco Casu del Dipartimento di Medicina Veterinaria, dai ricercatori dell’Unità di Statistica Medica ed Epidemiologia Molecolare dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Dott. Francesco Branda, Dott.ssa Chiara Romano e il Prof. Massimo Ciccozzi, e dal Dott. Giancarlo Ceccarelli del Policlinico Umberto I.

Ci sarà un seguito?

“Assolutamente si - risponde il Dott. Scarpa – Il fatto che questi risultati abbiano indicato che al momento non si è verificato un salto di specie, non significa che questo non si possa mai verificare. Infatti, non dobbiamo abbassare la guardia e dobbiamo continuare a monitorare costantemente il virus dell’aviaria e tutti gli altri virus, al fine di essere preparati in caso di nuove mutazioni.

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