Enrico Pau: la mia “Accabadora”

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03 mag 2017

Di: Francesca Melis

Enrico Pau, classe 1956. Cagliaritano doc. Figlio di Ciccio Pau, capitano del Cagliari negli anni ’40. Prima insegnante e poi regista. Uomo colto e sensibile. Pacato ed elegante. Attento e raffinato. Il suo ultimo lavoro L’accabadora, colei che da “la buona morte” è uscito nelle sale lo scorso 20 aprile. Enrico Pau con umiltà e garbo ci racconta come nasce quest’opera.

Dopo una lunga gestazione è finalmente uscito nelle sale “ L’Accabadora”. Qual è il primo riscontro dopo circa 10 giorni?

"Sono andati a vederlo un bel po’ di spettatori, questo è un aspetto molto importante. Credo che la curiosità di vedere il film nasca anche dal fatto che tratta argomenti estremamente attuali, come appunto l’eutanasia, la guerra.

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Credo che la gente tenda un po’ ad identificarsi in questo personaggio che arriva con questo suo bagaglio di dolore e sofferenza e che suscita emozione in chi vede il film. Comunque è andata molto bene, è il quattordicesimo incasso in Italia, è stato confermato nelle sale a Roma e Milano, diciamo che il film ha appena iniziato la sua vita."

Come e dove nasce l’idea di fare un film intorno a questa figura misteriosa?

"Quando abbiamo iniziato a pensare a questo film era il periodo in cui Beppino Englaro, il padre di Eluana, combatteva la sua battaglia solitaria e difficilissima per cercare di riuscire a dare a sua figlia una morte dignitosa, perché questo era ciò che Lei gli aveva chiesto. In quel periodo restammo molto colpiti con la sceneggiatrice da questa vicenda e da questa siamo partiti in una riflessione proprio sull’eutanasia. L’abbiamo vista sotto una prospettiva che è quella del passato, come se noi riuscissimo a parlare di qualcosa che è presente e attuale, ma

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lo facciamo con gli occhi della storia, di questa figura che appartiene al mito della nostra isola. Non ci sono prove certe che questa donna sia esistita, però è indubbiamente una storia molto affascinante. Come è affascinante l’idea che in una piccola comunità ci fosse una donna che dava “ la buona morte”. Oggi sarebbe una cosa di grande civiltà, ma purtroppo se ne parla troppo poco."

L’Accabadora è una figura che ondeggia tra il mito e la realtà. Come siete riusciti a ricostruire quest’ immagine?

"Ho letto qualcosa relativamente alla figura dell’Accabadora: qualche racconto, qualche testimonianza, un saggio scientifico del professor Buccarelli. Però li abbiamo tenuti in considerazione fino ad un certo punto, poi abbiamo agito molto liberamente. Ho affrontato questo tema in modo molto personale, cercando di evitare di far diventare questo un film dell’orrore, perché ci sono tutti gli elementi che potrebbero portare a questo, ma non è nel mio stile. Preferisco lavorare sui sentimenti ed è quello che credo stia arrivando al pubblico, il quale prova a mettersi dalla parte di Annetta, la protagonista."

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Quali difficoltà ha incontrato durante la realizzazione del Film?

"Innanzitutto è stato girato in un tempo molto breve. È una produzione che, rispetto alle precedenti, è decisamente più importante. È anche vero che comunque rispetto a certi budget del cinema europeo o americano è un piccolo film. Però, questo piccolo film, ha avuto la fortuna di incrociare poi una produttrice irlandese, oltre al produttore italiano, quindi questo incontro ci ha aperto una serie di possibilità. Per esempio, per quanto riguarda gli effetti speciali oppure la possibilità di usare un attore molto famoso e molto bravo. Questi sono tutti valori aggiunti."

Come ha scelto il cast?

"La Finocchiaro era già nella scrittura, nell’idea. Il volto dell’Accabadora per me ha sempre avuto la faccia di Donatella Finocchiaro. Quindi ho da subito pensato dovesse essere Lei. Gli altri attori sono poi arrivati nel corso della produzione. Abbiamo studiato la sceneggiatura e cercato di capire quali potessero essere gli attori giusti. A me piace lavorare con attori creativi, che comunque portano le loro emozioni e la loro visione del mondo. Persone con le quali io possa dialogare, con cui voglio e devo dialogare."

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La figura dell’Accabadora è presente in particolar modo nei ricordi della Sardegna arcaica del centro nord. Perché Lei sceglie di girare il film a Collinas e a Cagliari?

"Perché la mia idea è sempre quella di sfuggire un po’ allo stereotipo di una Sardegna già visitata o comunque già conosciuta, già esplorata. Meno è riconoscibile un posto, più è interessante. Sono più per la Sardegna di fango che per la Sardegna di pietra. Io sono campidanese e in qualche misura mi sento più attratto da posti a me vicini geograficamente che hanno comunque una spazialità che è diversa rispetto a quella della Barbagia che è anche quella più conosciuta."

I suoi film precedenti come “ Jimmy della Collina” e “ Pesi Leggeri” affrontano il tema del riscatto sociale. In questo c’è una sorta di riscatto sociale?

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"Annetta entra in una società ipotetica, però più che un riscatto sociale io credo ci sia un riscatto umano. Il suo problema non è legato alla povertà, bensì al vivere isolata, lontana dagli altri. Quindi è più un riscatto umano, un avvicinamento all’altro. Il bisogno, la necessità di iniziare a interagire con gli altri esseri umani. Tecla diventa una specie di ultimo brandello d’amore ormai sfilacciato, è l’ultima ancora a cui Annetta vorrebbe aggrapparsi. Poi nel finale non ti da nessuna speranza in senso stretto, ma può anche lasciarti l’idea che lei possa iniziare una nuova vita. Tu che sensazione hai avuto?

- “ Io ho avuto la sensazione di una donna che alla fine riesce a trovare la pace con se stessa. L’immagine di Lei che si affaccia sulla città mi da l’impressione di una donna finalmente pacificata, di colei che trova la pace con se stessa e con tutto ciò che la circonda.”

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Questo è molto bello. È una bella lettura. Ti sei accorta che finisce un po’ come “ Jimmy della collina”? Lui è sul bordo davanti al mare ed è la prima volta che vedi un’apertura, non c’è mai stata fino a quel momento."

Tre aggettivi per descrivere il suo film?

"Riprendo quello che ha utilizzato La Repubblica: metafisico. Ha un andamento elegante. Spero, ma questo dovranno dirlo gli spettatori, commovente."

Com’è fare film in Sardegna?

"È molto bello. Secondo me noi abbiamo un grande immaginario che ancora deve essere esplorato. C’è molto talento, ci sono tanti registi di talento giovani. È un buon momento per il cinema sardo, grazie anche alla Regione che in questi anni ha investito un po’ di soldi in questo campo e questo è il risultato tangibile di un investimento che comunque sta dando i suoi buoni frutti. Tra pochissimo partiranno sette film, tutti legati alla nostra isola. Siamo comunque dentro un immaginario molto forte che porta dei risultati anche molto importanti, come il David di Donatello. Gianfranco Cabiddu e Mario Piredda se ne sono portati via due quest’anno. Questo vuol dire che c’è molto talento."

Progetti per il futuro. Enrico Pau ora va in vacanza o qualcosa bolle in pentola?

"Io faccio il professore, insegno nelle scuole superiori e collaboro con l’università, quindi ancora niente vacanze. Ho già girato due cortometraggi, di cui sono molto orgoglioso, perché sono il frutto di due master cinematografici. Quindi per ora sono totalmente immerso sul lavoro."

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