Omicidio di Stefano Masala e Gianluca Monni. Il padre di Paolo Enrico Pinna: "E adesso chi glielo dice a questo ragazzino?"

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06-04-2017

Roberto Pinna, il padre di Paolo Enrico, condannato dal tribunale dei minori a vent'anni per l'omicidio di Gianluca Monni e Stefano Masala, questa volta si sfoga. Aspetta che vadano via tutti. Anche i due legali che assistono il ragazzo, Agostinangelo Marras e Angelo Merlini.

Di: Redazione Sardegna Live

"Gli abbiamo detto: “per Pasqua ti portiamo l'uovo”. Ma lui ha risposto: “mamma che dici? Io a Pasqua sono a casa, con voi”. E adesso chi glielo dice a questo ragazzino?".

Roberto Pinna, il padre di Paolo Enrico, condannato dal tribunale dei minori a vent'anni per l'omicidio di Gianluca Monni e Stefano Masala, questa volta si sfoga. Aspetta che vadano via tutti. Anche i due legali che assistono il ragazzo, Agostinangelo Marras e Angelo Merlini.

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"Aspettiamo le motivazioni, voglio proprio vedere cosa scrive questo giudice", dice l'uomo. "Non siamo noi a dirlo, ma le carte che ci sono state messe a disposizione - afferma - oggi è stato sconfessato il lavoro dei carabinieri".

Perché secondo Roberto Pinna "sono loro che hanno detto che Stefano Masala era a Orune, in quella macchina, e sono loro che hanno detto che i cani molecolari l'hanno individuato anche dopo quell'omicidio, anche in paese".

Glaciale, fiero, si rivolge ai giornalisti. "Scrivetele queste cose". E ancora. "Questa sentenza ce l'aspettavamo, d'altronde se non l'avessero condannato sarebbe crollato anche il processo di Nuoro, dovete scrivere anche questo", dice il babbo del condannato. Insieme a Paolo Enrico Pinna, minorenne all'epoca dei fatti, è accusato il cugino Alberto Cubeddu, di Ozieri.

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La Procura di Nuoro ha chiuso l'indagine a suo carico e lo indica come esecutore materiale dell'uccisione di Monni. Presto il gip dovrà decidere se rinviarlo o meno a giudizio.

"Per un anno e mezzo hanno pressato questi ragazzi sperando che dicessero qualcosa, ma non possono dire niente perché non sanno niente, mio figlio non c'entra - è la sua convinzione - cercano di utilizzare i litigi e le discussioni che il ragazzo ha avuto con me e con la mamma, ma è normale, da bravi genitori quali siamo ci preoccupavamo della situazione, di quello che la gente diceva, volevamo venirne a capo prima di finire qui".

Solo a questo punto Roberto Pinna ha un istante di debolezza. L'emozione gli rompe la voce, ma è solo un passaggio, poi riprende. "Certo che andremo in appello, e anche in Cassazione se sarà il caso, e se non bastano due avvocati ce ne saranno quattro, perché siamo innocenti", ribadisce l'uomo caricandosi il peso di una condanna lunga più degli anni che il figlio ha compiuto da poco.

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"Questo processo andava fatto a Roma, qui c'era troppa pressione, l'opinione pubblica aveva già deciso - è l'accusa - quel ragazzo scomparso, la disperazione dei familiari, ma nessuno ci pensa a questo ragazzino in carcere". Perché Paolo Enrico "ora sta crescendo, ma è un ragazzino, e quando c'è stata quella rissa puzzolente aveva sedici anni appena". Il riferimento è a quanto avvenuto il giorno dell'autunno 2014 in cui a Orune si celebravano le "Cortes Apertas".

Per l'accusa, e da oggi anche per il tribunale dei minori di Sassari, l'omicidio di Gianluca Monni sarebbe stato meditato, architettato ed eseguito per vendicare l'affronto di quella sera. "Andremo in appello, e se questo giudice ci ha dato torto, altri ci daranno ragione", conclude il papà di Paolo Enrico.

Al suo fianco la moglie e la figlia annuiscono. La ragazza piange, ha un leggero malore, la moglie lo invita ad andare via. Roberto parlerebbe ancora a lungo, ma accompagna le due donne con lo sguardo, le lascia allontanare e dice solo un'ultima frase. "Adesso chi glielo dice al ragazzo, che ci chiede sempre: 'ma perché sono in carcere da dieci mesi se non ho fatto nulla?'".

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