35 anni fa la strage dell'Heysel: tra gli italiani deceduti, 4 erano sardi

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29 mag 2020

Dei 4, Giovanni e Andrea Casula, 10 e 43 anni, padre e figlio, di Cagliari.

Di: Dante Tangianu

In questo stesso giorno, 29 maggio, di 35 anni fa, a Bruxelles non c’era un meeting internazionale di politica estera, ma semplicemente una partita di calcio, benché espressione di un evento altrettanto internazionale riguardante la finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool, prevista per le 20:15.

Mentre l’afflusso dei tifosi alla stadio Heysel, rifatto e dal 1996 intitolato al Re Baldovino, avveniva durante il pomeriggio all’insegna di quel tripudio di colori e di allegria tipico di tutte le manifestazioni sportive, circa un’ora prima della partita ebbe inizio quel caos sugli spalti che si sarebbe subito trasformato in tragedia, in una vera e propria strage: 39 morti, di cui 32 italiani, e oltre 600 feriti.

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Tra gli italiani deceduti, 4 erano sardi, Giovanni e Andrea Casula, 10 e 43 anni, padre e figlio, di Cagliari, Barbarina Lusci, 57enne di Domusnovas, emigrata in Belgio, e Mario Spano, 41 di Perfugas, emigrato a Novara.

La partita ebbe inizio quasi dopo un’ora e mezzo di rinvii per evitare, secondo le autorità sportive e della sicurezza belga, ulteriori e tragiche conseguenze. Quella vera, fu sconfitta senza appello, di tutti, dell’Uomo, ma per le cronache e non solo: del popolo inglese, ancora una volta infamato da frange di tifoserie impazzite dei suoi club nazionali, e dei servizi di sicurezza belgi, responsabili, secondo i più autorevoli commentatori, di acclarate inefficienze nella gestione di una situazione tanto difficile quanto male interpretata.

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Degenerazioni e anomalie, tutte queste, pagate da molti tifosi con la propria vita e solo con la “colpa” di voler assistere, in risposta alla loro passione, a una partita di calcio.

Allo stadio Re Baldovino c’è una targa commemorativa con tutti i nomi delle vittime.

Ricordiamo e riserviamo a questi appassionati di calcio che non ci sono più, un piccolo-grande spazio nella nostra memoria collettiva, affinché le povere vittime siano anch’esse nei nostri pensieri tutte le volte che l’istinto o una pseudo convinzione ci porta a sottovalutare situazioni altrimenti foriere di rischi ingiustificabili. Tra i nomi c’è anche quello di un medico di Arezzo, Roberto Lorentini, che tentò, senza riuscirci, di salvare il piccolo Andrea Casula prima di morire. Ha ricevuto la medaglia d’argento al valor civile.


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