Olimpiadi Parigi 2024, intervista a Matteo Piras: “Vincerò l’oro”

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17 lug 2024

Il campione di judo di origini sarde, con papà di Carbonia, racconta la sua storia e i suoi sogni

Di: Alessandra Leo, foto Federazione Internazionale di Judo

Cominceranno il prossimo 26 luglio i Giochi olimpici di Parigi 2024 e tra i classificati per l’ambita gara a cinque cerchi c’è Matteo Piras, campione italiano di judo, che ai microfoni di Sardegna Live ha raccontato la sua storia, i suoi sogni e come si è evoluta la sua carriera sportiva dall’età di 2 anni, quando ha mosso i suoi primi passi sul tatami.

Trentuno anni, con papà sardo di Carbonia, e mamma veneta, Matteo è nato e cresciuto a Torino ma ci ha svelato che gli sarebbe piaciuto nascere in Sardegna, terra che adora a tal punto di volersi tatuare la forma dell’Isola sulla pelle, “Ho i tratti somatici e caratteriali tipici dei sardi, soprattutto sono molto caparbio e la resilienza mi rappresenta appieno – ha detto all’inizio della nostra piacevole conversazione – inoltre tifo per il Cagliari, ma anche per la Juventus”, ha affermato sorridendo.

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Benvenuto su Sardegna Live, Matteo. Quando è iniziata la tua passione per il judo?

“Sono figlio d’arte in questa disciplina, i miei genitori hanno entrambi praticato judo e tutt’ora mia madre lo insegna in una piccola società di Torino, che ha fondato lei stessa, con la ex campionessa Laura Zimbaro. Anche mio fratello, che ha 5 anni più di me, praticava judo ed è proprio seguendo lui agli allenamenti che fui letteralmente buttato sul tatami all’età di due anni. Così iniziai il corso pre agonismo, quello apposta per i bambini, che comprende attività propedeutiche per imparare a lottare, ma dopo dopo 2 anni, quando ne avevo 4, non mi piaceva più e dissi ai miei che volevo cambiare sport, loro accettarono alla condizione che avrei dovuto praticare comunque un altro sport perché nella mia famiglia lavoro e sport sono il centro della vita.

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Provai tutti i tipi di sport ma nessuno mi entusiasmò. Dopo un annetto decisi quindi di riprendere a fare judo e una frase di mia mamma che ricorderò per sempre mi accese qualcosa, ‘puoi riprendere gli allenamenti di judo, ma se sali sul tatami non scendi più perché non puoi salire e scendere come ti pare’. La presi in parola e non sono più sceso senza mai alcun ripensamento”.

Quali sono le caratteristiche che ti hanno fatto appassionare al judo al punto di dedicarci tutta la tua vita?

“Il judo mi ha insegnato davvero tantissimo e io ad oggi lo reputo una metafora di vita perché è un’attività individuale in cui si vince e si perde da soli, ma senza un compagno e un insieme di compagni non ci si può allenare in quanto bisogna provare e riprovare le tecniche e senza una persona fisica è impossibile. È un’attività formativa sia per i ragazzi che per gli adulti perché insegna a stare con gli altri per obiettivi personali, quindi possiede tutti i valori degli sport individuali e quelli degli sport di squadra, un mix fantastico che aiuta a crescere. Più che uno sport, il judo è una vera e propria disciplina, tanto che non si dice ‘vado a giocare a judo’ ma ‘vado a fare judo’. Sembra una sciocchezza, ma anche dirlo cambia tutto.

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Una cosa che mi ha colpito particolarmente quando ho iniziato a insegnare quest’attività e a cui prima non facevo caso è che la prima cosa che si insegna ai bambini che vogliono fare judo sono le cadute, anche se lo scopo è non cadere, quindi si insegna a fare ciò che non si dovrebbe fare sia per non farsi male ma soprattutto perché cadendo bene ci si può rialzare nel miglior modo possibile senza accusare la caduta. Mentre nel calcio la prima cosa che si insegna è dare un calcio al pallone e fare goal e vincere, nel judo si insegna a cadere bene.

Questa è una delle tante caratteristiche che mi ha fatto innamorare del judo, tante cose mi hanno appassionato di questa disciplina nel mio percorso di crescita ed è per questo che non ho più avuto ripensamenti. Allenare i bambini, che ancora non hanno afferrato questi concetti, non è facile perché bisogna sempre cercare di tenere alta la loro attenzione, facendogli fare cose ripetitive con giocosità e intrattenimento, infatti nel judo si dice che se si superano due fasce d’età cruciali si può continuare, la prima è quella tra gli 8 e i 10 anni, quando si smette di giocare e si imparano le cose nuove, la seconda a 15-18 dove il gioco c’è in misura molto minore e cominciano le competizioni, quindi è l’età in cui subentra la frustrazione e per diversi motivi alcuni decidono di smettere”.

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Tu hai mai avuto questo senso di frustrazione? Se sì, come hai fatto a superare il momento, tenere duro fino ad arrivare all’Olimpiade?

“Arrivare all’Olimpiade è il sogno di ogni ragazzo che pratica judo, ma arrivarci alla mia età non è facile, soprattutto se non ne hai fatte prima.
Alla prima occasione disponibile, i Giochi del Mediterraneo del 2022, ho vinto l’argento e da lì una serie di gare mi ha portato a qualificarmi per l’Olimpiade classificandomi decimo tra i 18 in tutto il mondo che possono partecipare, quindi un ottimo risultato.
In età giovanile vinto campionato under 15 e under 18, sono stato in nazionale under 21, campione italiano senior per 3 volte e nel complesso ho 15 medaglie nei campionati italiani di cui 8 ori”.

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Cosa provi ora che sei a un passo dal coronare il tuo sogno e soprattutto cosa ti aspetti dai giochi di Parigi?

“Provo una grande emozione e una gioia unica, io non mi aspetto nulla perché so già che vincerò l’oro, ho una sensazione di pancia che me lo dice.
Quando ho iniziato questa corsa 2 anni fa lo sentivo già, poi tanti segni che si sono presentati nella mia vita e che io considero pieni di significato me lo hanno confermato, il primo è che il mio cognome ‘Piras’ è l’acronimo di ‘Paris’. Io credo nel destino e nel fatto che ognuno se lo scriva seguendolo. Credo in un’energia universale che noi attiriamo e la usiamo a nostro vantaggio. Qualche tempo fa ho inviato un video al mio mental coach dicendogli che mi trovavo all’aeroporto di Parigi e che la prossima volta che sarei atterrato lì sarebbe stato per le Olimpiadi. Un insieme di avvenimenti mi ha permesso di trovare e far mie le energie per raggiungere il mio obiettivo”.

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Quindi credi nel destino e nelle energie positive solo nell’ambito dello sport o della vita in generale?

“Assolutamente della vita in generale, lo sport è solo una piccola punta dell’iceberg. È il modo di porsi di ognuno, il modo di reagire a ciò che succede che consente di trasformarlo in energia positiva o di affondare. Io due anni fa, a seguito di diversi avvenimenti ero sull’orlo di un precipizio, potevo lasciarmi cadere o buttarmi e provare a volare e ho scoperto che so volare. Tutto accade per una ragione, non esiste il caso, è tutto un insieme di energia.

Per raggiungere i tuoi sogni li devi inseguire, ma devi inseguire prima la tua vita ed ecco perché il mio modo di pensare lo estendo a tutta la mia vita ed ecco perché sono anche molto affascinato dalla psicologia, scienza che studio all’Università e in cui mi laureerò l’anno prossimo. Sono già mental coach con un master di perfezionamento in psicologia dello sport, lavoro con un mental coach, Marco Pacifico, ex boxer e uno degli psicologi più bravi d’Italia”.

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Sei anche arruolato nell’Esercito.

“Sì, esattamente dallo scorso 1° luglio faccio parte del Centro Sportivo Esercito, che ringrazierò per sempre, perché mi ha permesso di arruolarmi, credendo in me”.

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